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Focus



Il monitoraggio della risposta al trattamento con TKI, l'importanza della MMR, valutazione alla diagnosi, monitoraggio e predittività dell'outcome a lungo termine



La leucemia mieloide cronica (LMC) è una malattia ematologica neoplastica caratterizzata da una abnorme espansione del compartimento cellulare mieloide, con aumentata produzione di granulociti e senza perdita della capacità differenziativa cellulare. L'età media alla diagnosi è generalmente compresa tra i 45 e i 65 anni, ed è molto rara nell'età adolescenziale e nei bambini. La LMC è caratteristicamente associata a una alterazione citogenetica specifica, il cromosoma Philadelphia (Ph), identificabile in circa il 95% di tutti i pazienti. Esso origina quale conseguenza della traslocazione reciproca tra i cromosomi 9 e 22 [t(9;22) (q34;q11)]. Tale traslocazione determina uno scambio di materiale genetico con l'apposizione del gene Abelson (ABL) dal cromosoma 9 ad una regione del cromosoma 22 identificata come breakpoint cluster region (BCR). Tale processo determina la formazione di un gene ibrido di fusione chiamato BCR-ABL.

La leucemia mieloide cronica viene diagnosticata sempre più frequentemente nel corso di controlli medici periodici od occasionali. Infatti all'esordio può essere totalmente asintomatica anche se la maggioranza dei pazienti avverte un lento ma progressivo scadimento delle condizioni generali, con pallore cutaneo, astenia fisica, perdita di peso, sudorazione profusa (spesso notturna), dispepsia con senso di ingombro addominale al quadrante addominale sinistro o sazietà precoce (sintomi questi determinati dalla splenomegalia). Gli esami di laboratorio evidenziano spesso leucocitosi, anemia, piastrinopenia o piastrinosi.

La diagnosi presuntiva di LMC si basa sul tipico riscontro all'esame emocromocitometrico di leucocitosi e alla valutazione morfologica di forme cellulari mieloidi immature, ed è confermata dalla presenza del cromosoma Philadelphia (diagnosi citogenetica) e del gene ibrido di fusione BCR-ABL (diagnosi molecolare).

La leucemia mieloide cronica presenta un caratteristico andamento clinico bifasico: a una iniziale fase cronica, apparentemente indolente, segue invariabilmente una fase avanzata con evoluzione in fase accelerata/crisi blastica. Ad oggi non sono ancora ben delineati i meccanismi citogenetico/molecolari che innescano la progressione della malattia, ma si ritiene che l'instabilità genomica sia in gran parte responsabile dei meccanismi che conducono alla crisi blastica.

L'introduzione nella gestione clinico-terapeutica di una nuova classe di farmaci, gli inibitori delle tirosin-chinasi (farmaci a bersaglio molecolare diretti contro le cellule malate BCR-ABL-positive) ha rivoluzionato non solo il trattamento della LMC ma anche il suo decorso naturale (cronicizzandolo), rendendo ormai desueti nella terapia di prima linea i precedenti farmaci citoriduttivi (idrossiurea, busulfano), l'alfa-interferone e ponendo in seconda/terza linea il trapianto di midollo osseo.

L'impiego clinico dell'imatinib ha prodotto elevate percentuali di risposte ematologiche e citogenetiche complete nonchè di risposte molecolari maggiori, se paragonate alla precedente terapia con alfa-interferone. Inoltre, nel trattamento a lungo termine, l'imatinib ha mostrato risposte cliniche durature in un'alta percentuale dei pazienti in fase cronica. Questa sua straordinaria efficacia clinica, insieme alla potente inibizione dell'attività di BCR-ABL, ha indotto un panel di esperti riuniti sotto l'egida dell'European LeukemiaNet (ELN) a formulare delle raccomandazioni cliniche nel 2006. Tali raccomandazioni sono state aggiornate nel 2009, anche alla luce della nuova disponibilità degli inibitori di seconda generazione, codificando la risposta clinica alla terapia convenzionale con imatinib in risposta ottimale, sub-ottimale e fallimento.

Inoltre, l'efficacia degli inibitori delle tirosin-chinasi nel ridurre la proliferazione e la vitalità delle cellule leucemiche si è rapidamente rivelata di tale entità da richiedere sofisticate tecniche di biologia molecolare per il monitoraggio della malattia minima residua. Per tale ragione molteplici laboratori hanno adottato la tecnica della PCR Real-Time per quantificare la presenza dell'RNA messaggero per BCR-ABL presente nei leucociti isolati dal sangue periferico. I risultati della PCR Real-Time sono attualmente espressi secondo una scala internazionale (espressa come IS) che impiega fattori di conversione specifici per ciascun laboratorio. Questo approccio metodologico consente di paragonare tra loro campioni isolati da pazienti differenti e/o analizzati in laboratori diversi e soprattutto di quantificare la percentuale di trascritto bcr-abl.

In tal modo, alla pietra miliare della risposta citogenetica completa si è aggiunto il parametro, più profondo e considerato anche come "l'approdo sicuro", del raggiungimento della risposta molecolare maggiore (MMR), codificata secondo la scala IS.

Recentemente diversi gruppi di ricerca hanno mostrato come in fase cronica e in trattamento di prima linea con imatinib (al dosaggio standard di 400 mg/die), e impiegando i criteri ELN 2009 per la valutazione della risposta clinica, la stratificazione per risposta molecolare ottenuta (quantità di trascritto BCR-ABLIS inferiore all'1%, compreso tra 1 e 10% e maggiore del 10%) sia al terzo sia al sesto mese di terapia con imatinib rivesta un ruolo prognostico significativo. Infatti i dati riscontrati a 3 e 6 mesi di terapia hanno mostrato come livelli di trascritto BCR-ABLIS maggiore del 10% e dell'1%, rispettivamente a 3 e 6 mesi, siano significativamente correlati a una bassa probabilità di ottenere una CCyR a 12 mesi e a una risposta ottimale in genere. Inoltre uno di questi gruppi ha anche osservato come alti livelli di trascritto BCR-ABLIS, determinati alla diagnosi, sia per ABL sia per il gene GUS, possano identificare un subset di pazienti ad alto rischio molecolare e con bassa probabilità clinica di risposta a imatinib.

In conclusione, questi risultati sembrano identificare nella quantità di trascritto BCR-ABLIS maggiore del 10% al terzo mese di terapia di prima linea con imatinib al dosaggio convenzionale, il valore soglia del possibile e precoce cambiamento terapeutico con gli inibitori di seconda generazione. Questi ultimi, impiegati nel trattamento di prima linea della LMC, potrebbero ulteriormente ridurre a meno del 10% il valore soglia predittivo del trascritto BCR-ABL nel monitoraggio della risposta clinica al terzo mese di terapia.

Tutti questi parametri, uniti alla determinazione della quantità di trascritto molecolare BCR-ABL alla diagnosi, rappresentano oggi un notevole supporto diagnostico-predittivo nella clinica e nella terapia della LMC e possono consentire l'identificazione del paziente ad alto rischio.

Testo a cura di
Fabio Stagno
Divisione Clinicizzata di Ematologia
AOU "Policlinico - V. Emanuele"
Ospedale Ferrarotto, Catania


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