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La parola al clinico



Seguire la cura per guarire



La leucemia mieloide cronica (LMC) è un tumore maligno del sangue che nasce in fase cronica e l'obiettivo del trattamento è impedire la progressione alla fase acuta, difficilmente curabile. Prevenire quest'evoluzione è diventato possibile da quando si dispone della "target therapy", terapia mirata sulle cellule con l'anomalia genetica che causa la malattia, e quindi risolutiva. I nuovi farmaci, detti biologici, sono diversi dai precedenti sotto vari aspetti: si sofferma qui in particolare sull'importanza dell'aderenza al trattamento la professoressa Giorgina Specchia, della Divisione di Ematologia con Trapianto dell'Università degli Studi - Policlinico - Bari.

Prima dei farmaci biologici, quali erano i problemi in termini di efficacia, tollerabilità, aderenza, ricadute?
Nell'era pre-Imatinib il gold standard terapeutico della leucemia mieloide cronica era rappresentato dall'interferone alfa. Questa molecola ha rappresentato il primo vero intervento farmacologico capace di "controllare la malattia" e nel 20-30% dei casi di produrre una risposta citogenetica completa che, dal punto di vista clinico, corrisponde alla "guarigione" della malattia. D'altro canto l'interferone alfa è un farmaco alla cui somministrazione seguono spesso spiacevoli effetti collaterali che, in molti casi, riducono la capacità di tolleranza del paziente ai dosaggi terapeutici. Ancora oggi il trapianto di midollo osseo è l'unico atto terapeutico capace di eradicare completamente la malattia in un'elevata percentuale di casi. Purtroppo però la procedura trapiantologica è gravata da un altissimo rischio di mortalità.

Come sono migliorati questi aspetti con l'introduzione degli inibitori tirosin-chinasici?
La comparsa dell'imatinib ha completamente cambiato lo scenario prognostico del paziente affetto da LMC, grazie al suo meccanismo di azione che lo ha reso il primo di una nuova generazione di farmaci oggi largamente impiegata in oncologia. Innanzitutto l'inibitore della tirosin-chinasi ha notevolmente aumentato la percentuale dei pazienti che ottengono la risposta citogenetica completa; è quindi migliorata l'efficacia terapeutica e di conseguenza diminuita drasticamente la percentuale delle recidive e delle progressioni della malattia. Ci sono comunque casi di pazienti che dopo un certo periodo di tempo diventano intolleranti o resistenti ad Imatinib, e per questi è opportuno effettuare lo switch di terapia, passando agli inibitori delle tirosin-chinasi di II generazione quali il dasatinib o nilotinib

Quanto è importante, e perchè, l'aderenza del paziente al trattamento?
Il problema della corretta aderenza alle cure prescritte è cruciale in molti settori terapeutici. Rimanendo alla LMC il rispetto della terapia prescritta è molto importante, dal momento che il beneficio terapeutico che il paziente ricava dal trattamento è legato alla somministrazione quotidiana del farmaco. L'aderenza alla terapia potrebbe essere inficiata dalle modalità di somministrazione del farmaco: troppe compresse, terapie concomitanti per altre patologie, interazioni con il cibo. Tuttavia tra i nuovi inibitori delle tirosin-chinasi esistono farmaci quali il dasatinib, che vengono somministrati una sola volta al giorno (2 compresse secondo l'attuale posologia) indipendentemente dai pasti.

In genere, l'aderenza alla cura oggi è buona? Quali limiti e problemi restano per i pazienti?

L'imatinib, al dosaggio standard pari a 400 mg/die, appare in genere ben tollerato dalla maggior parte dei pazienti. Tuttavia, poco meno di un terzo dei pazienti affetti da LMC non può beneficiare del trattamento con l'imatinib a causa dei fenomeni di resistenza farmacologica, che equivale a dire che il paziente non risponde alla terapia, e anche di intolleranza al trattamento, legata alla comparsa di effetti collaterali.
In presenza di questi eventi, è possibile ricorrere ad altri inibitori tirosin-chinasici, tra cui dasatinib e nilotinib, i cui dati clinici li indicano contraddistinti da un elevato profilo di efficacia.

Quali accorgimenti possono migliorare l'aderenza? Chi è a rischio di minore aderenza va seguito diversamente?
Oggi il paziente con leucemia mieloide cronica in cura con il dosaggio terapeutico standard deve assumere quotidianamente quattro compresse di imatinib (ciascuna di esse pari a 100 mg). In generale, la possibilità di semplificare la somministrazione in termini di dosaggio, aiutando nel contempo a migliorare la qualità della vita del paziente, può contribuire ad una maggiore aderenza alla terapia prescritta. Va fatta quindi particolare attenzione alle necessità dei pazienti anche in termini di qualità della vita: la comparsa di effetti collaterali, il numero delle compresse, le interazioni con il cibo, le patologie concomitanti e le terapie per esse, sono tutte condizioni che possono determinare una ridotta aderenza al trattamento.

Ci sono differenze per tutti questi aspetti tra imatinib e gli inibitori tirosin-chinasici di seconda generazione?
Le informazioni che derivano dagli studi clinici nei quali sono stati impiegati dasatinib e nilotinib, ci dicono che gli inibitori di seconda generazione sono farmaci più potenti dell'imatinib in termini di efficacia terapeutica. Al momento il giudizio su queste molecole deriva dai risultati delle sperimentazioni cliniche, che finora hanno coinvolto solo i pazienti intolleranti o resistenti all'imatinib e quelli in progressione di malattia. Pertanto dobbiamo attendere l'esito delle sperimentazioni in corso per sapere se il nilotinib e il dasatinib saranno migliori dell'imatinib in termini di efficacia terapeutica e tollerabilità anche nei pazienti all'esordio della LMC.

Febbraio 2009

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