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La terapia



Come seguire nel tempo la terapia



Il ruolo della biologia molecolare nella gestione dei pazienti affetti da LMC ha acquistato sempre più importanza negli ultimi anni, in particolare da quando sono disponibili in commercio i cosiddetti "farmaci intelligenti" in grado di eliminare selettivamente le cellule malate, senza danneggiare quelle sane.
Le conoscenze in campo molecolare non solo hanno contribuito alla comprensione delle cause di questa forma di leucemia grazie all'identificazione di un'anomalia cromosomica (il cromosoma Philadelphia), ma hanno anche permesso la diffusione di test di laboratorio altamente sensibili. Questi ultimi, pertanto, sono divenuti indispensabili sia per la diagnosi sia per valutare l'efficacia della terapia, poichè consentono di stabilire il grado di risposta di ogni singolo paziente al farmaco somministrato, fornendo conseguentemente informazioni attendibili sulla prognosi.

Le risposte
Attualmente i farmaci che vengono impiegati nel trattamento dei soggetti con LMC sono i nuovi inibitori tirosinchinasici (TK-inibitori), che agiscono bloccando l'attività della proteina oncogenica BCR-ABL implicata nella genesi della malattia. L'avvento di questi farmaci ha notevolmente incrementato l'importanza della determinazione della risposta al trattamento: infatti, i segni di un precoce insuccesso terapeutico fanno sì che il paziente possa cambiare terapia prima che la leucemia progredisca ad uno stadio avanzato.
In particolare, è possibile distinguere tre gradi di risposta: ematologica, citogenetica e molecolare. La prima si valuta mediante un banale esame del sangue in cui si determina il numero di piastrine e globuli bianchi, si verifica se sono assenti granulociti immaturi e se i basofili sono presenti in quantità inferiori al 5%. Tuttavia, pur essendo una metodologia largamente diffusa per la relativa semplicità di esecuzione, è la meno sensibile. Per questa ragione è importante valutare anche la quantità di cellule con positività del cromosoma Philadelphia (risposta citogenetica) e, sopratutto, eseguire la ricerca del gene che codifica per la proteina di fusione BCR-ABL (risposta molecolare).

La continua verifica
L'analisi molecolare permette di formulare una diagnosi certa di LMC mediante metodiche come la FISH (ibridazione in situ in fluorescenza), con cui è possibile identificare le anomalie cromosomiche, e la PCR (reazione a catena della polimerasi), che permette di valutare la presenza di specifici geni. Tuttavia, il vantaggio principale offerto dall'impiego di queste procedure emerge nella valutazione dell'efficacia della terapia.
Secondo studi recenti la terapia standard con TK-inibitori è in grado di indurre una risposta citogenetica completa (in cui il cromosoma Philadelphia non è più evidenziabile) nell'80% dei casi, ma questo non esclude che possano successivamente verificarsi delle ricadute. Per questa ragione, i pazienti vengono routinariamente sottoposti ad un esame specifico e più sensibile, la PCR quantitativa, che permette di valutare le modificazioni dei livelli di RNA del gene BCR-ABL: infatti, un incremento di questo RNA pari a 3,2 volte costituisce un significativo fattore di rischio per future ricadute. In generale, l'aver ottenuto una risposta citogenetica o molecolare in tempi brevi rappresenta un importante indicatore prognostico della bassa probabilità di progressione della malattia alla fase acuta e viene quindi utilizzato come indice di risposta in molti studi. Identificare i pazienti che presentano un rischio elevato di una riacutizzazione della LMC è essenziale sia per modificare la frequenza del monitoraggio (secondo gli esperti i test molecolari dovrebbero essere eseguiti ogni tre mesi), sia per personalizzare la strategia terapeutica.
Inoltre, la possibilità di sequenziare il DNA dei pazienti leucemici che non rispondono efficacemente alla terapia di prima scelta (in genere l'imatinib) permette di identificare eventuali mutazioni responsabili della comparsa di fenomeni di farmacoresistenza. Le mutazioni puntiformi nel dominio chinasico del gene BCR-ABL altera infatti il legame ottimale del farmaco con il uso bersaglio, rendendolo così inefficace. Conseguentemente, una volta rivelata la resistenza, è possibile modificare tempestivamente la terapia e passare ad un farmaco di seconda linea, come il dasatinib o il nilotinib.

Ultimo aggiornamento: Ottobre 2010



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