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Grazie ai TKI, la sopravvivenza dei pazienti con LMC è raddoppiata



La migliore dimostrazione di quanto imatinib prima e i farmaci inibitori delle tirosinchinasi (TKI) di seconda generazione poi, abbiano permesso di migliorare il trattamento della leucemia mieloide cronica (LMC) viene dall'analisi dei dati epidemiologici e dei risultati clinici ottenuti sui pazienti dal 1975 a oggi. In base ai dati raccolti dai ricercatori del MD Anderson Cancer Center di Huston (Texas), uno dei più prestigiosi istituti oncologici attivi a livello mondiale, negli Stati Uniti l'incidenza della LMC è rimasta pressochè costante nell'arco delle ultime tre decadi e pari in media a 1,75 per 100mila persone all'anno. Un'incidenza superiore è stata rilevata nell'area di Detroit (nello stato del Michigan, in prossimità del confine con il Canada), lasciando ipotizzare una possibile influenza sfavorevole dell'ambiente di vita sulla probabilità di sviluppare la malattia. Mentre un'incidenza inferiore alla media è stata riscontrata tra le persone di origine asiatica, suggerendo una minore suscettibilità genetica di questo gruppo etnico alla neoplasia. La buona notizia, però, viene osservando i dati di sopravvivenza. Fino alla fine degli anni '80, quando la principale terapia disponibile per fronteggiare la LMC era basata sull'interferone-alfa, la sopravvivenza media a cinque si fermava al 26%: praticamente, soltanto un paziente su quattro era ancora in vita a un lustro dalla diagnosi della malattia. Grazie all'introduzione e al sempre più diffuso uso di imatinib, farmaco capostipite dei TKI, tra il 1990 e il 2000, la sopravvivenza a cinque anni è salita al 36%. Un ulteriore e sostanziale salto di qualità si è poi osservato nell'ultimo decennio e, in particolare tra il 2005 e il 2009, in corrispondenza dell'introduzione dei TKI di seconda generazione e della possibilità di somministrarli anche in prima linea. L'impiego di questi nuovi farmaci fin dall'esordio della malattia o dopo fallimento di un primo tentativo terapeutico con imatinib ha permesso di assicurare alla maggioranza dei pazienti una sopravvivenza prolungata: nel 56% dei casi almeno cinque anni e in molti anche più di dieci. Un miglioramento che ha riguardato pazienti di tutte le età, a partire dai 15 anni in avanti.

Fonte: Chen Y et al. Trends in chronic myeloid leukemia incidence and survival in the United States from 1975-2009. Leuk Lymphoma, 2012 (http://informahealthcare.com/doi/abs/10.3109/10428194.2012.745525)


Pubblicata il 22 Novembre 2012.


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