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La parola al clinico



Arrivare alla diagnosi



La leucemia mieloide cronica (LMC) è un tumore del sangue relativamente raro; colpisce 1,5-2 persone ogni 100.000 l'anno, di entrambi i sessi con una lieve prevalenza di quello maschile, quasi sempre in età adulta e con una prevalenza massima riscontrabile nella fascia tra i 50 e i 60 anni. Per saperne di più, in particolare sugli aspetti relativi alla diagnosi ne abbiamo parlato con Giuseppe Saglio, della Divisione Medicina interna ed Ematologia dell'ASO S. Luigi Gonzaga di Orbassano (TO) e ordinario di Medicina interna dell'Università di Torino.

Come viene scoperta la malattia, e ci sono segni o sintomi sospetti che il singolo possa individuare da sè?
In almeno metà dei casi il reperto è occasionale, ottenuto in situazioni in cui si effettuano indagini ematologiche per altri motivi. Per quanto riguarda i sintomi in questo caso sono poco utili per il riconoscimento, dato che sono vaghi e aspecifici, comuni ad altre malattie: tra quelli riscontrati più di frequente ci sono infatti stanchezza fino ad astenia, perdita di appetito, calo di peso. Con il peggioramento si possono presentare febbre, emorragie ed ecchimosi, ma è soprattutto l'ingrandimento della milza (splenomegalia) a insospettire e a indurre a eseguire accertamenti. La LMC nella sua storia naturale è infatti una malattia subdola: nasce come fase cronica a cui successivamente segue inevitabilmente, in assenza di adeguato trattamento, un'evoluzione acuta che chiamiamo crisi blastica e che è ancora oggi raramente curabile. Questa progressione può durare da pochi mesi ad alcuni anni, in genere 4-5, ma per fortuna oggi abbiamo farmaci che possono prevenire il passaggio alla fase acuta.

Qual è il percorso diagnostico standard, e quale lo specialista di riferimento?
Nella maggior parte dei casi la diagnosi viene sospettata sulla base dell'emocromo, che evidenzia un incremento del numero delle cellule del sangue, in particolare dei globuli bianchi e delle piastrine. La conferma necessaria e indispensabile per un accurato approccio terapeutico deriva però dall'effettuazione dell'analisi citogenetica sul midollo per la presenza del cromosoma Philadelphia e dell'analisi molecolare per la ricerca del trascritto del gene ibrido BCR/ABL, che si esegue utilizzando la tecnica di amplificazione dell'RNA mediante PCR. Il cromosoma Philadelphia è il marcatore caratteristico della malattia in quanto è presente in quasi il 100% dei casi. Talora è "nascosto" e quindi la ricerca del riarrangiamento tra il cromosoma 22 e il 9 che produce il gene di fusione BCR/ABL diventa l'analisi dirimente. La presenza di questo gene infatti è strettamente legata all'insorgenza della leucemia mieloide cronica: esso codifica per una proteina che rende proliferanti e per certi versi quasi immortali le cellule leucemiche. Lo specialista di riferimento è quindi l'ematologo, e una volta posta la diagnosi i pazienti devono essere seguiti per tutte le fasi successive nei centri specialistici.

Ma com'è la realtà nazionale da questo punto di vista e quali possibilità hanno i malati?
L'Italia è tra i paesi più avanzati al mondo per quanto riguarda la studio, la diagnosi e la terapia della LMC. Il CML WP (working party) del GIMEMA (Gruppo italiano malattie ematologiche dell'adulto) è conosciuto e stimato in tutto il mondo. La diagnosi è quasi sempre tempestiva e i casi avanzati, scoperti tardi, sono meno del 5%. I pazienti diagnosticati sono ben seguiti e hanno ora buone prospettive grazie alle nuove terapie, che permettono di arrivare a una guarigione dalla malattia. In passato non era così: l'unica vera possibilità di cura era rappresentata dal trapianto di midollo e la maggior parte dei pazienti progrediva nel tempo alla fase avanzata della malattia. Oggi la prospettiva è cambiata e la probabilità di sopravvivenza a sette anni dall'inizio della terapia è dell'88%. Probabilmente questo è anche un dato sottostimato perchè di fatto solo una piccola percentuale di pazienti progredisce e ha necessità di essere sottoposta ad interventi terapeutici più intensi che, se possibile, talora possono ancora includere il trapianto di midollo.

Ottobre 2008



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